1 CAP. – No, non ce la faccio più. Sto diventando pazza do di testa cosa mi sta succedendo? Mi confido su questi fogli bianchi con la mia calligrafia simile allo zampettare di una gallina. Sono in bagno con le mutandine in mano tutte imbibite dei miei umori. Mi sento troia, esibizionista, guarda come mi hai ridotto!! Si, parlo di te porco che non sei altro. Portami a battere perchè quello è il mio posto.
Per me solo i viali alberati con le luci fioche dei lampioni e gli abbaglianti delle auto per vedere chi è ai bordi. Non merito di stare in società sono solo una cagna la tua cagna. Menhadith l’Egiziana
Si era firmata così. Il suo sfogo , non capivo che cosa le fosse preso; da un momento all’altro era come esplosa. Rilessi ancora quelle poche righe vergate con la sua calligrafia minuta e scossi la testa . Non poteva essere lei eppure era lei la sua firma la conoscevo e poi si era firmata con il nomignolo che le avevo dato ” L’egiziana” Sorrisi pensando a quel momento di un tempo passato e ora, ora cosa era successo?
Rimasi pensieroso poi decisi. Sono sempre stato una persona impulsiva e allora si fregassero tutti non la volevo vedere in quegli stati e mi avviai verso i’auto. Presi così la macchina. La città era sempre la stessa con le sue vie intasate di traffico e minacciava anche un acquazzone, il tempo era infame ma in quel momento a me non interessava.
Forse ero innamorato, ma era impossibile era più giovane di mio figlio e allora perchè lo facevo? Semplicemente le volevo bene e verso di lei avevo una sorta di tenerezza, mi piaceva la sua impulsività, le sue battute. Poi dire la verità non era per niente brutta con la sua carnagione olivastra, sembrava una calda donna del sud. Si effettivamente veniva da più che a sud.
Guardai il locale dove lavorava e allora mi decisi. Dire il vero era una specie di ultimatum, prendere o lasciare per quello che avevo intenzione di dirle. Scesi dall’auto e estrassi dalla tasca della giacca il biglietto che mi aveva lasciato.
In auto abbassai leggermente il finestrino per dare aria al mio Doberman che era immobile e mi guardava seduto sul sedile posteriore del suv che guidavo.
Mi avviai, verso il locale, ero sicuro che non si aspettava di vedermi. In quel momento era dietro al bancone, stava preparando delle ordinazioni da servire al tavolo. Un avventore era seduto su un trespolo al banco con lo sguardo perso.
Ti guardai china su quello che preparavi, eri dannatamente bella e istintiva, sembravi una puledra da domare per quello che scrivevi, ormai era tardi e la ragazza per darti il cambio era già venuta.
Alzasti gli occhi e…Poggiai la lettera sul bancone . ” TUA?” Mi fissavi non ti aspettavi che venissi da te e allora quasi in crisi di nervi ti vide scendere una lacrima sulla gota, piangevi. Ti osservavo silenzioso non avevo voglia di parlare e la tua collega era esterrefatta. Così ci fu una mia frase che ti lasciò di stucco eri persa non ti aspettavi di vedermi e a quel punto:
“Il turno sta finendo ancora un minuto, raccogli le tue cose e ti prendi due settimane di ferie, Basta con questi biglietti da disperata” Mi guardasti a bocca aperta mentre la tua collega che ti aveva visto stravolta giorni prima ascoltava silenziosa. Le lacrime ti segnavano le guance.
Per tutta risposta mi chiedesti di andare via scuotendo la testa in segno di negazione. Ti osservavo ma la tua compagna che ti dava il cambio prese in mano le redini della situazione.
” Menhadith viene subito non si preoccupi mi metto d’accordo io con il padrone” Così dicendo ti diede un piccolo spintone spostandoti da quello che facevi e ti disse “VAI cretina qui ci penso io”
Eri come uno zombi, ti guardai, ti ravviasti i capelli e mi raggiungesti. Ti presi la mano, me la misi sottobraccio e uscimmo andando verso la macchina.
Saliti in macchina ci fu un momento di silenzio, fissavi fisso davanti a te con lo sguardo perso nel nulla. Il ronzio del motore si faceva sentire e ormai stavamo per imboccare l’autostrada. Fu una scenetta strana perché il cane che avevo dietro mise il suo muso in avanti e non so come fece ma te lo appoggiò sulla spalla. Quasi per consolarti.
Passasti la mano su quel muso sul naso forse un po’ umido e per la prima volta ti vidi fare una specie di sorriso. In quel momento portavi una maglietta attillata che metteva in risalto il tuo decoltè, sotto indossavi un reggiseno ma ti si potevano intuire sotto quella stoffa tesa le punte dei capezzoli.
In quel momento non avevo la minima idea di che cosa ti passasse per la testa. I jeans che portavi per lavori ti stavano aderenti come una seconda pelle eri letteralmente una festa per gli occhi e a quel punto svoltai prendendo le frecce che indicavano il nord. Il tuo “Dove mi porti” fu un tutt’uno accorgendoti che la macchina girava E per tutta risposta da parte mia .
“Hai detto che non ti senti simile a un animale e che il tuo destino è essere semplicemente scopata da chiunque, ti porto a prepararti, sarai mia ospite per qualche giorno, non vieni più a casa mia , andremo in un posto particolare e ti prometto che non hai niente da temere”
Mi guardasti con tanto d’occhi e poi ripiombasti in un mutismo che rasentava la paranoia, che cosa ti fosse successo non lo sapevo ma sapevo che ti avrei fatto rinsavire, c’era una partita di caccia e ti avrei fatto partecipare ma prima ci saremmo divertiti tu ed io. L’auto superò il confine, le abetaie si facevano imponenti e nello stesso tempo le scritte sulle indicazioni cambiavano lingua.
Non capivo dove mi portasse , mi ero lasciata letteralmente rapire e lo avevo seguito come imbambolata. Ero in crisi nera avevo visto la mia vita scorrere dietro il bancone di quel bar e mi ero sentita male, Il rispondere alle battute grasse degli avventori e poi, il potermi divertire niente. Riuscire ad andare oltre che essere vista come un puro animale da accoppiamento; poi ad un certo punto la macchina girò in una strada secondaria eravamo ormai usciti dall’autostrada da tanto e a quel punto dopo aver fatto quel tratto di sterrato ecco pararsi davanti a noi una villa imponente e datata .
Tetti spioventi con abbaini e un entrata da mettere i brividi con tanto di scalinata. Durante il percosrso M. aveva telefonato dall’auto e si era espresso in una lingua sconosciuta Non capivo e nello stesso tempo mi metteva i brividi.
Un portale massiccio alla cui entrata si materializzo un classico maggiordomo o presunto tale, forse era il padrone di casa. Toccai con la mano la gamba di lui, avevo paura cosa mi capitava, mi ero affidata a quell’uomo e di lui dire la verità se non un paio do notti di fuoco con cui avevo passato in quell’appartamento non conoscevo altro.
Lui si rivolse a me guardandomi, “Ora ti cambierò ben bene e ti posso garantire che sarai diversa, per prima cosa… Ma vedrai e non aver paura.”
Detti un sospiro di sollievo mentre il signore che era affacciato alla porta scese quei gradini e mi venne ad aprire la portiera.
“ Immagino che questa è la persona che a lei interessa “ Mi dette un occhiata strana, quasi mi sentì sprofondare e se da una parte mi venne la tremarella dall’altra un certo non so che al mio basso ventre si fece sentire. Mi venne la tremarella, quell’uomo mi guardava come un oggetto e niente altro, il cliente voleva che lo preparassero e lui si sarebbe messo all’opera.
Poi rivolgendosi a lui in Italiano in modo che sentissi. “ Il suo bagaglio lo facciamo portare di sopra, e quello della sua ospite dove si trova?”
M. si mise a ridere e “Me la dovete vestire in tutto e per tutto cosette da portare tutti i giorni e cosette particolari che mettano in risalto la sua figura “
Sentivo M. parlare e non capivo cosa stesse succedendo e mentre parlava salivamo quella gradinata.
I battenti finirono di aprirsi e ci trovammo in un atrio in cui il mio mini appartamento ci sarebbe stato diverse volte. Rimasi a bocca aperta. Il pavimento era “veneziano” levigato e lucido quasi ci si potesse specchiare.
Qui accadde il primo imprevisto perché Se M. si era fermato a parlare con chi ci aveva aperto la porta di casa si fa per dire. Ecco che si materializzarono altre due persone mentre i bagagli portati da una terza persona portava le valige verso un’altra ala di quella casa.
Due donne si fecero vedere. Una era vestita con un completo nero giacca e gonna e un maglione leggerissimo che la fasciava mettendo in risalto una splendida figura. Portava calze velate con la riga e ai piedi decolletè di un nero lucido con un tacco che faceva risaltare la figura e che allungava due magnifiche gambe. I capelli erano tirati a crocchia e un trucco scuro accentuava i lineamenti facendoli sembrare quasi fiabeschi. L’altra invece era vestita in maniera più sobria ma la divisa era pressochè la stessa solamente i capelli erano biondi.
Se la prima che si capiva essere il capo la seconda sotto la giacca che indossava si capiva che non indossava niente altro. La giacca era tesa su un seno prorompente e la gonna sempre nera era molto più corta. Anche lei aveva scarpe nere con il tacco molto alto e nello stesso tempo era senza calze.
Ci fu solo da parte di M. Un “Preparatemela ci fermiamo qua qualche giorno, dovete anche vestirla come piace a me e poi andremo al castello, avremo una festa.
La donna sorrise e a Meredith venne la tremarella. Tremarella attutita dalle parole di M che rivolgendosi a lei . “Non aver paura sei in buone mani, devi solo lasciarti andare.”
A quel punto le due donne la presero e si avviarono verso un’altra ala di quella casa che sapeva di misterioso: la mia figa, la lettera di disperazione che gli avevo scritto era dovuta alla passeggiata che avevamo fatto sul lungo lago.
Non so per quale motivo lui veniva a fare colazione nel mio bar e alla fine avevo fatto amicizia con lui. Un signore di una certa età. Veniva tutti i giorni a prendere il caffè della mattina, con una brioches alla marmellata. Come sua abitudine si sedeva in fondo a un tavolo piuttosto defilato dalla ressa delle persone che venivano a prendere il caffè. Gli autisti dei bus, la cui sede era li vicino, e anche altri, vigili urbani che iniziavano il turno o lo smettevano senza contare chi si fermava per andare a lavorare.
Dunque, ormai la forza dell’abitudine, su lui potevo sincronizzare le lancette dell’orologio. Così dopo un po’ facemmo amicizia, quelle quattro parole all’inizio il buongiorno e su come era andata la serata e poi sempre di più, mi faceva tenerezza e questo fu il mio sbaglio. In certi momenti mi trattava come una figlia e solo un giorno ebbi un dubbio quando parlando con una persona che lo era venuto a trovare, una signora bionda elegantissima.
Indossava un abito sportivo con un giubbotto leggero, si era in primavera inoltrata che dopo aver confabulato con lui per una ventina di minuti si alzò di scatto e se ne andò. Niente mi toglie che avesse gli occhi inumiditi di pianto. Forse fu un’impressione mia ma il dubbio mi rimase e poi osservando il suo viso inespressivo nel vederla andare via qualcosa dovevo capire. Invece quel giorno mi fermai poi a chiacchierare con lui, in una pausa di lavoro dovuta a un calo momentaneo dei clienti. Parlammo del più e del meno, sul lavoro che stavo facendo e sul suo lavoro così da sapere che era pensionato e che ormai lavorava di tanto in tanto per fare il piacere a qualche amico.
Poi dei suoi hobby seppi che gli piaceva scrivere, niente di speciale come disse lui. Quando cercai di andare sull’argomento di quella donna che aveva fatto un apparizione strana preferì tacere e non disse niente e glissando l’argomento mi rispose : “ E’ inutile che una bella ragazza come lei chieda di cose tristi, ha la vita davanti e io sono ormai entrato nell’autunno del mio tempo”
Fu solo un momento poi entrarono altri clienti e io fui ripresa nel mio lavoro. Era l’ora degli aperitivi, ormai la mattinata era inoltrata e presto ci sarebbe stata l’ora di pranzo. E quando lui venne alla cassa per pagare…